“Ho venduto a diecimila euro le mie vecchie catene da neve, quindi parteciperò alla sottoscrizione”
La voce dei mari
Ogni volta che usciva un mio libro, dopo pochi giorni
arrivava un telegramma di Fabrizio. Poche parole di stima e
ringraziamento per ciò che aveva letto. Tengo ancora questi
telegrammi, questi gesti di attenzione e vicinanza, non comuni
nel nostro ambiente. Li aspettavo, ogni volta, con gioia, come
qualcosa che rendeva ancor più prezioso il mio lavoro. E quando
usciva un disco di Fabrizio, subito gli telefonavo, o gli
scrivevo. E ogni volta gli esprimevo il mio stupore. Lo stupore
di come riuscisse ancora a sorprendermi, a tirar fuori dalla sua
leggendaria pigrizia qualcosa di unico. Sì, Fabrizio era unico.
Lo era nella fatica, nel disagio, nell’inquietudine di creare. Lo
era nel cercare sempre una strada propria, faticosa, in mezzo al
divismo e alla ben calcolata produzione della musica moderna. Per
me è stato un fratello artistico, un modello inimitabile di
serietà e ironia.
Credo che le parole di Novecento siano il più bel pezzo
di satira scritto in questi anni. E Crueza de ma è uno
dei dischi che mi hanno fatto più sognare e riflettere sul dono
della musica. È la “musica barata” del poeta Drummond de
Andrade, la musica ascoltata per caso in strada, che sposa una
complessità tecnica e una passione compositiva da musicista
classico. Semplicità e varietà chiuse nel prodigio di una piccola
sinfonia. Ci sono dentro i due mari di Fabrizio la poesia e la
rabbia, la sua Genova e la Sardegna. Amavamo tutti e due
quest’isola e i suoi abitanti, la loro fierezza e la loro
difficile storia.
Credo che Fabrizio fosse, da solo, un’intera isola sospesa tra i
mari della dolcezza e della rabbia. Un porto di navi e lingue
diverse, di marinai e donne misteriose, dove sbarcavano le
sonorità di terre lontane e le parole degli chansonnier francesi
che tanto amava, un’isola percorsa da burrasche irose e da grandi
calme. E dall’isola lui sapeva ascoltare il rumore del mare
profondo e delle sue creature, dalle più dolci alle più feroci,
dalle più umili alle più grandi, vittime e avventurieri, nani e
gorilla, prostitute e fate.
Era anche unico nel suo essere dalla parte di chi soffre e perde,
Fabrizio. Un amico generoso del gruppo Lupo e delle sue
iniziative di solidarietà. Un artista che non ha mai dimenticato
che c’è nella musica un misterioso prezioso, una sfida, una
ribellione che non deve arretrare davanti ai tempi e alle mode.
Nella sua voce di sciamano suadente sono passate le canzoni
politiche più indignate, insieme a versi d’amore, a splendide
traduzioni, a versi beffardi, a capolavori in lingue magiche
distillate dai dialetti di terre da lui amate e immaginate. La
musica di Fabrizio per me è questo: ascoltare a occhi chiusi il
rumore del mare, le voci, i dialetti del porto, le grida, la
grande varietà delle lingue e dei racconti di viaggio. Le sue
canzoni sono un vaccino contro ogni razzismo, hanno il coraggio e
la passione di incontrare le diverse culture nel momento in cui
cantano e raccontano, non soltanto quando sono piegate dal dolore
e dalla necessità.
So che Fabrizio non verrà dimenticato. Vorrei dire a Dori, a
Cristiano, ai suoi amici musicisti e a chi lo amava, che la sua
lezione non andrà persa, che ogni sua canzone è un dono
misterioso che conserveremo. Che non lo celebreremo soltanto, ma
continueremo a sentirlo vicino, a occhi chiusi, come una voce che
ci chiama dalla spiaggia. Una voce che dice: tieni duro, Stefano.
Quelle parole, che mi ha ripetuto ogni volta che ci siamo
incontrati, restano nel mio ricordo vicino alle sue canzoni.
proverò a ripeterle a chi ne ha bisogno.
Una volta, a un concerto bolognese, uno spettatore entusiasta
gridò: «Fabrizio, nudo, nudo». «No» rispose Fabrizio al microfono.
«Se mi vedete nudo non posso più essere un mito». In quella
risposta, c’era tutta la divertita fierezza di Fabrizio.
Diventerà senz’altro un mito, ma non da magliette e poster,
conventicole depresse e celebrazioni televisive. Un mito fertile,
che ci spinge a seguire la nostra rabbia, il nostro stupore, a
non rinunciare al nostro talento, a seguire i maestri migliori.
Fabrizio era uno degli ultimi lupi rimasti.
Accettiamo la sua sfida, adesso che non c’è più. È ancora
possibile essere artisti liberi, seri, creativi, senza
compromessi e paure. Non c’è complessità, non c’è bufera, non c’è
galeone spagnolo, che possa impedirlo. È stato un bel viaggio,
Fabrizio. Stasera, in riva al mare di Oristano, i pescatori sardi
mi hanno detto che banchetteranno e canteranno in tuo onore. So
che ti farà piacere. Arrivederci, amico Fabrizio, capitano dei
due mari.