“Ho venduto a diecimila euro le mie vecchie catene da neve, quindi parteciperò alla sottoscrizione”
Caro amico, ti scrivo…
Caro Dario, l’ultima volta che ho scritto di te su questo giornale era per
augurarti di superare una malattia. L’hai appena superata, ed ecco che si
abbatte su di te nientemeno che un Nobel. So che scriveranno molte cose
su di te, ma so anche che leggerai queste righe con speciale attenzione,
perché speciale è la nostra amicizia. Che farai adesso, volerai verso
l’Olimpo dei monumenti e le vette della Storia?
Ci lascerai quaggiù alle prese con la politica misera della sinistra,
coi suoi ricatti, con la sua rissosità da condominio davanti ai sofferenti
della terra, con le sue adunate oceaniche e i sofà televisivi? No, sono
pronto a scommettere che resterai con noi. È una grande gioia sapere
che hai vinto un premio che onora te, le tue lotte, e tutti coloro che hanno
partecipato al tuo cammino, da Franca ai tuoi attori, al tuo pubblico.
Ma è ancora più bello avere la certezza che non cambierai. Che sarai
ancora l’amico premuroso con cui ho lavorato, che mi ha incoraggiato nei
momenti dffficili, con cui ho litigato e discusso. So che baratteresti,
certamente, questo Nobel, con una sinistra più viva, più solidale, più
anticonformista, una sinistra con cui abbiamo diviso vittorie e entusiasmi
ma anche contraddizioni e momenti di stanchezza e ripetizione. Quello che ho
da dirti non è molto diverso dal solito, Dario. Ho sempre saputo che alcuni
di noi hanno lavorato "insieme", in modi diversi e con diversa
generalità, fatica e successo in nome di qualcosa che non importa neanche
più discutere. Sono gli altri che ossessivamente lo dileggiano o lo
insultano, perché lo temono. Io lo chiamo un profondo rispetto del proprio
lavoro e della responsabilità di quello che si dice, e del legame che si ha
col proprio pubblico, con le sue speranze, col suo desiderio di cambiamento,
col suo bisogno di credere nella "serietà" di un artista. In tutti
questi anni siamo stati uniti da questa amicizia e da questa speranza comune.
La gioia che tu provi, certo temperata da ironia, è una festa per tutti noi,
intellettualoidi, operai, leoni, clowns e acrobati. II Re del circo, per una
volta è anche Re su tutte le scene.
Quando il clamore si sarà placato, e tu sarai un po’stanco per tutte le
chiacchiere e le polemiche che seguiranno, ci rivedremo e ricominceremo a
fare le cose di sempre. Tu mi darai i tuoi consigli e mi leggerai i tuoi
testi, ansioso e frenetico come un esordiente. Io continuerò a studiare il
tuo genio scenico, e a chiedere entusiasmo a te, che hai qualche anno più di
me, ma ancora sai darmi la carica.
Questa amicizia, che hai donato a me e ad altre persone, questo esempio di
generosità intellettuale, mai accademico e vanitoso, vale tutti i tuoi libri
e le regie e la tua opera teatrale unica, originale, ancora misteriosa nella
sua complessità. Il monumento te lo meriti Dario, più per le cose che
nascondi che per quelle che la gente conosce. Per il coraggio con cui hai
scalato certe montagne.
Io, che ho avuto la fortuna di starti vicino, il Nobel te l’avevo già dato
da un pezzo.
E adesso basta, di nuovo tutti in scena. Anzi, come mi ha suggerito Franca
al telefono "scrivi che invece di menarla tanto vengano al teatro
Carcano, che non abbiamo abbastanza spettatori". Vivi serenamente
questa gioia Dario, sghignazzaci su un pochino, ma non troppo.
Te lo meriti davvero.