“Ho venduto a diecimila euro le mie vecchie catene da neve, quindi parteciperò alla sottoscrizione”
Com’era bella la guerra vecchia
Povero George, povero Silvio, che delusione. La caduta estetica è per loro, il vero orrore di questa guerra. Avevano cominciato così bene. Con Baghdad notturna illuminata dalle esplosioni, spot festoso e pirotecnico della superiorità militare americana. E che dire della perfezione da videogame delle riprese aeree, coi bersagli colpiti che si dissolvevano in una nuvoletta di fumo? E come dimenticare la romantica immagine dei caccia che lasciavano le portaerei con un tuffo eroico, verso i cieli della gloria? E le cifre, necessario condimento di ogni grande epica prestazione sportiva: le tonnellate di bombe sganciate, i record di missioni, la percentuale di bersagli colpiti. C’era anche il momento comico. Il video di Bin Laden, il cattivo col barbone, l’orologio made in Usa, e il mitra sul fondale di cartapesta. O Saddam in divisa da ussaro che minacciava gli ex-amici americani. E dall’altra parte il piccolo cow-boy ubriacone che dietro a una selva di microfoni rispondeva per le rime, nell’esilarante duetto «ce l’ho più lungo di te». E non mancava il momento didattico: era bello vedere gli strateghi italiani, alcuni in borghese altri in divisa, mentre giocavano coi soldatini sul plastico, e disegnavano mappe e fronti con fanciullesco entusiasmo, spiegando ai telespettatori i segreti della strategia. E ogni giorno tornavano sul video, come una sigla rassicurante, trailer di film futuri, le spettacolari immagini delle Torri gemelle, con l’aereo che si infilava come una spada, il fragoroso sbriciolarsi in polvere, viste da ogni angolazione e inquadratura, a dimostrare come tutto ciò che è ripreso e diffuso, non è accaduto invano, e che ogni vittima ha un posto nel meraviglioso cast della guerra moderna.
In questo abbacinante show tecnobellico poche volte apparivano corpi, cadaveri, bare imbandierate e celle di prigioni. Queste cose si vedono per lo più nei film di serial-killer o in qualche vecchio documentario. La guerra del duemila deve essere ogni giorno ben girata, con le luci giuste e soprattutto montata con cura. Avremmo potuto continuare ad assistere, turbati ma avidi, a questa guerra virtuale e intelligente, dove i morti sono stupide comparse. Maestranze incaute che muoiono in infortuni sul set, civili distratti che si trovano nel posto sbagliato, esibizionisti che sporcano col loro sangue le sale dei briefing. Ed erano già pronti i titoli del secondo tempo: liberazione, ricostruzione, democrazia, appalti, e rielezione. Ma qualcuno ha cambiato il regista del film. E ora, cos’è questo disdicevole realismo? Come mai questa caduta di stile? Chi ha sparato ai nostri ragazzi che erano già pronti per una nuova diretta? Chi ha scritturato quei giovani arabi che festeggiano i corpi carbonizzati, chi li manderà a morire per avere più potere? Quale sceneggiatore di B-movie ha scritto il manuale di interrogatorio della Cia? Come mai giorno dopo giorno tornano sullo schermo le grida d’odio, i cappucci, le torture, gli sgozzamenti, i morti accatastati, le bare, i cadaveri fatti a pezzi? Ma non capisce il regista di questa nuova sporca guerra che tutto ciò rischia di farla sembrare troppo vera, troppo vecchia, insidiosa per la propaganda e lo show-business? Perché hanno il cattivo gusto di rovinare il sacrificio di quei grattacieli, i colori di quel bel cielo esotico, e il cartone animato coi bunker che facevano la nuvoletta?
Non è colpa loro. E’ la protagonista, la guerra, che è una pessima attrice, e non obbedisce al copione. Qualcuno si era illuso di avere cambiato le regole e gli orrori di duemila e più anni di ferocia, inventando la new war del futuro. Ma siamo ancora ai corpi impalati sulle mura, a spaventare il nemico. Con armi nuove e sofisticate, ma con soldati che hanno i soliti vecchi difetti di fabbricazione: muoiono, hanno famiglie a casa, impazziscono, hanno paura. Gli eserciti di cyborg non sono ancora pronti, o forse non sono ancora un affare. La macchina militar-economica della televisione ingoia tutto questo con sdegno pilotato e finto orrore. Gli spettatori, per fortuna, no. Qualcuno aveva già capito, qualcuno se ne rende conto ora.
Diceva un antico greco: le guerre sono diverse tra loro ma soprattutto diverse da come le vorrebbero i generali. E questa guerra respinge ogni giorno la menzogna di chi la vuole definire utile, necessaria, pulita. E più è orrenda e inutile, più appare disprezzabile chi vuole continuarla, chi non cerca spiragli, chi simula una ragionevolezza e un onore già perduto. Ridateci la nostra bella guerra senza morti, piangono George e Silvio, le fabbriche di armi e i signori degli appalti. Ma il proiettore è rotto. E’ un brutto film e chi l’ha voluto, prima o poi ci creperà dentro, proprio come quelli che ha mandato a morire, contro la volontà chiaramente espressa del loro paese.