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Giovedì 16 ore 9,30

Alle nove e mezzo la notizia la porta, in dialetto, una donna anziana.
L’ha sentita da una radio, a una bancarella del mercato.
Su una panca, ci sono quattro facchini.
Uno corre subito ad accendere la televisione nel bar vicino.
Uno bestemmia, uno reagisce con una battuta di spirito.
Alle nove e trequarti le radio libere cominciano già a ricevere
una telefonata dopo l’altra: a una ne arriveranno trecento, nella mattinata,
di tutti i tipi. «Cosa succederà adesso?».
«È vero che hanno ucciso i figli di Moro?»
«Giustizia proletaria è fatta».
«Vergognatevi, e chiudete quella radio di merda».

Alle dieci, in un bar. Molte persone: i facchini dell’ortomercato,
casalinghe con la borsa della spesa in mano, l’edicolante, negozianti,
una guardia giurata armata di tutto punto.
Vanno in onda le prime immagini.
C’è l’intervista a La Malfa.
Una donna commenta «Non sembra neanche più la televisione».
E come un velo che cadesse. Il discorso, il tono giornalistico, le inquadrature,
sono le stesse. Ma la verità di un paese che deve fare i conti con se stesso
erompe fuori da ogni discorso, da ogni immagine.

Si ascolta in silenzio. Un vecchio dice «Quando hanno sparato a Togliatti,
non c’erano tutte queste cose qui».
Fuori, due giovani ascoltano la radio libera, uno è in bicicletta,
dice sempre «Va là, me ne vado» e resta inchiodato lì.
Un ascoltatore telefona dicendo che ha paura perché abita sopra una sezione
del Pci. Un terzo giovane passa e dice «Vado a vedere cosa dice la televisione».
«Vedrai che schifezza ci ricamano sopra», dice l’altro,
«io ne faccio a meno».
Sul video, ci sono le immagini del luogo dell’imboscata. Entra un uomo anziano.
Non sa niente. Le immagini sembrano non scuoterlo.
Alla fine dice «Ormai, tutto quello che fa vedere la televisione
mi sembra di averlo già visto».

Uno dice che la televisione non dovrebbe dare tanto spazio alla notizia,
perché fa il gioco dei terroristi.
Una donna dice che queste sono le uniche occasioni in cui Tv e radio servono a qualcosa.
C’è anche un bambino che chiede perché c’è la Tv aperta,
se c’è una partita. Uno dice che per sapere la verità lui va a casa sua,
a vedere la Tv Svizzera. Un uomo anziano urla «Da una parte parlano di democrazia,
dall’altra di rivoluzione, e a nessuno di questi gliene frega niente dei lavoratori.
Ma questo non viene fuori, neanche in televisione. Lo Stato, lo Stato!
Ma lo Stato è fatto di persone! Questi giocano un gioco schifoso,
sulla nostra pelle».

Un altro signore dice che in questi casi la televisione deve comunque tenere calmo il paese.
Un giovane dice che sul video parlano solo gli uomini politici,
quello che pensano i giovani e gli operai c’è solo in qualche intervista frettolosa,
presa per strada. Scorrono le immagini di Montecitorio.
Un uomo in tuta dice «Altroché dichiarazioni ufficiali.
Stavolta sembrano quasi veri». Arriva un uomo su un camion di arance,
targato Salerno. Un facchino, che sta lavorando con la radiolina portatile
a tutto volume nel taschino del grembiule, va a dargli la notizia.
«La so già», dice l’uomo, «me l’ha detta un collega,
mentre mi sorpassava sull’autostrada».

Passa una macchina del Pci, che invita con l’altoparlante a una manifestazione.
La voce si sovrappone alla voce dello speaker della Tv.
Alla radio libera un signore telefona per sapere
«Se gli autonomi fanno qualcosa» e se si può andare in centro.
Escono le prime edizioni straordinarie. Da una banca escono due signori.
Dicono che la Rai, oggi, sembrava una radio libera.
Non si capisce se è un complimento o una critica.

Davanti alla Tv del bar, quattro vecchi giocano a carte mentre sulla loro testa
sfilano per l’ennesima volta le immagini delle auto crivellate.
L’uomo in tuta dice «Abbiamo tutte queste informazioni, abbiamo saputo subito
cos’è successo, sono entrato dentro al parlamento, ho visto il berretto
per terra e il poliziotto tutto insanguinato e però non mi sono mai sentito
fregato e fuori da tutto come oggi».

È l’una passata. Da una finestra, al primo piano, si sente una televisione
a tutto volume, rumore di piatti, una voce di donna.
I facchini, seduti su un gradino, fanno colazione. La radiolina è appoggiata
per terra e trasmette le previsioni del tempo, un brandello di normalità.
«Antonio», scherza uno, «scommettiamo che stasera salta anche
"Scommettiamo?"».
«Allora», dice Antonio in dialetto, «è la fine del mondo».

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