laRepubblica 4 aprile 2020 Ogni solitudine contiene Tutte le solitudini passate Il signor Eremio viveva…
La favola della fine del mondo
PAPÀ, mi racconti la favola degli uomini del Duemila?
– Va bene, ma dopo dormi. Nel Duemila gli uomini avevano un sacco di cose: i sonniferi, il
campionato di calcio, le sfilate di moda, il silicone, i computer…
– Anche la pizza?
– Anche la pizza. Ma, malgrado avessero tutto questo, la loro vita cominciò a
peggiorare. Non sarebbe stato catastrofico, se lo avessero ammesso e si fossero comportati di
conseguenza. Ma ormai erano abituati all’idea che la storia era come un’automobile, doveva
essere sempre nuova e più bella, anche se non c’erano più le strade per farla
andare avanti. Il clima e l’ambiente impazzirono, ma gli uomini sembravano quasi contenti di
battere ogni record di caldo e di freddo. La meteorologia era l’unico sport dove le
prestazioni crescevano mostruosamente e nessuno chiedeva misure antidoping. Nelle
città non si respirava più e l’aria fu privatizzata: i più ricchi
usavano le bombole Fiat-Eolo all’aria di montagna.
I GIOVANI avevano lo zainetto Standa all’alito di rockstar, mentre i più poveri si
accontentavano della “Pneumocentro”, la bombola-risparmio di Prodi che elargiva
quattro respiri al minuto. L’agricoltura era sconvolta, ma gli scienziati pensavano a
costruire sedani a tre stadi e maiali col manico, c’erano siccità e bibite gassate,
yacht e alluvioni, club vacanze e onde anomale.
– Cosa vuole dire anomalo?
– Quando una cosa l’hai lasciata spadroneggiare e ingrandire fuori da ogni legge e regola,
anzi ci hai pure fatto affari, e poi non riesci a togliertela più dai coglioni,
allora, la chiami anomala.
– Come Berlusconi?
– Chi ti ha detto queste cose?
– Ponding, il mio compagno di giochi: lui è molto colto, vive nella vecchia
biblioteca. Mi ha detto anche che nel Duemila avevano paura soprattutto di tre cose: della
moviola, delle rughe in faccia e degli squatter.
– Sì, allora nessuno si preoccupava se le banche, o i palazzinari, o le industrie, si
impadronivano di intere città, radevano al suolo quartieri, rendevano inabitabile
un’intera zona. Però se qualcuno occupava una casa vuota, si incazzavano come iene.
– È così che cominciarono ad andare indietro?
– Esattamente. I trasporti divennero sempre più lenti e caotici. Poiché era di
moda l’esoterico e il divinatorio, un giornale che si chiamava la Repubblica, dopo i tarocchi
regalò l’orario dell’Alitalia. C’era gente che prenotava un volo alla Malpensa per
poter stare lì tutta notte a fare lo scambio di coppie. I treni si nascondevano nei
tunnel per la vergogna. Le autostrade diventarono a cinque corsie, così rimasero vuote
le tre corsie di destra per l’unica Prinz che non si vergognava ad andarci. E poi c’erano gli
incendi.
– E come li spegnevano?
– Col fiato. Appena ne scoppiava uno grosso, cominciavano a litigare, le regioni accusavano
il ministro, il ministro accusava le regioni, tutti e due accusavano il forte vento di
scirocco, e l’esercito restava in caserma a fare la guardia al ficus del colonnello.
– E avevano altri problemi?
– Le atomiche eplodevano ancora ma erano deterrenti, le guerre erano intelligenti, i mercanti
d’armi si chiamavano esportatori di tecnologia bellica. Si moriva in un clima di laurea. Dai
paesi poveri i disperati cercavano di sbarcare nei paesi ricchi. Alcuni trovavano
un’accoglienza di destra, un calcio nel culo e via, altri un’ accoglienza di sinistra, un
calcio nel culo e un chinotto. Perché i paesi ricchi, ormai, avevano paura di tutto:
della zanzara africana, della borsa asiatica, dei neri non calciatori, dei bianchi non
bergamaschi. E avevano inventato una parola magica: emergenza. Emergenza ozono, emergenza
incendi, emergenza mafia, emergenza immigrati. Emergenza voleva dire “niente paura,
passerà”. Alla fine giunsero all'”emergenza delle emergenze”, e non
uscirono più di casa.
– E nessuno denunciava queste cose?
– Come no. C’erano i film catastrofe, i concerti di beneficenza, la pubblicità
Benetton. E poi i raduni degli scienziati, al termine dei quali i partecipanti si riunivano
tutti insieme e lanciavano un grido di allarme. Era una cerimonia molto divertente, qualcuno
gridava anche “gol” o faceva il verso dell’upupa, poi tornavano a casa contenti.
La televisione aveva cento canali ma dentro ci giravano sempre le stesse facce. Così
la gente diceva: beh, se loro sono sempre lì, vuol dire che le cose non peggiorano
troppo. Magari se avessero visto un presentatore prendere fuoco, un politico travolto da
un’ondata, o un gommone di profughi piombare in mezzo a un quiz, si sarebbero preoccupati.
Ma le cose brutte si vedevano solo nei telegiornali, che ormai erano considerati delle favole
cattive.
– E poi cosa accadde?
– Beh, te l’ho già raccontato. Un giorno il polo si squagliò e il mare si
alzò di sette metri. Sui teleschermi americani la mamma della Lewinsky cercava di
dimostrare che il reperto presidenziale rimasto incastrato nella zip della figlia non era,
come sosteneva Clinton, un pezzo di pollice. La Russia chiedeva l’elemosina. L’Italia, tra
una sfilata e un festival, discuteva sul ruolo avuto da Perry Mason nel rapimento Moro. Tutto
sprofondò in trenta secondi di diretta e quattro spot. Restarono solo rottami
galleggianti. Sull’ultima zattera un certo Gasparri, un ducetto da discoteca, prendeva a
remate un albanese che voleva salire. Poi tutto tacque. Ci salvammo solo noi, e la vita sulla
terra continuò.
– Insomma babbo, sono proprio fortunato a essere nato topo.
– Proprio così, figlio. Hai studiato la lezione per domani?
– Sì: nella storia dell’evoluzione dei topi ci sono tre grandi periodi: quello di
Neanderthal, quello di Simmenthal e quello di Emmenthal.
– Bravo, sono orgoglioso di te. E adesso dormi. Buonanotte.