“Ho venduto a diecimila euro le mie vecchie catene da neve, quindi parteciperò alla sottoscrizione”
Le mie dimissioni
Dal cavalier Berlusconi riceviamo e pubblichiamo:
Gentile direttore, le scrivo in circostanze a dir poco drammatiche, non per il
paese, di cui non mi frega nulla, ma per la mia persona e i miei affari.
Sono in preda a crisi di persecuzione, isteria, vittimismo, sete di vendetta e
onnipotenza frustrata. Sono esaurito, stressato, ho perso sei chili, per fortuna
cinque erano di cerone. Il regime si accanisce contro di me, pensi che per
andare in Rai devo avvertire tre ore prima mentre Ceausescu aveva lo studio
televisivo in casa. Urlo, strepito, scaìno e insulto in ogni luogo, dagli
spogliatoi calcistici alle aule di tribunali. Non sarei in grado di guidare una
Panda e devo guidare l’Italia e l’Europa. Eppure resto al mio posto.
Ma c’è un perché.
Le dico subito direttore che ci sono tre casi nei quali, in ogni paese
democratico, un premier deve dimettersi all’istante, anche se ha il
novanta per cento dei suffragi (e io non ho più neanche il
cinquantuno).
Uno: quando il premier è plurinquisito e il suo avvocato principe,
braccio destro, portaborse ungitore è stato condannato, anche se in primo
grado. Fortunatamente questo fa parte del senso di dignità, che io mi son
fatto togliere insieme a un premolare.
Due: quando un premier non è più in grado di assicurare la
convivenza civile nel suo paese, condizione che travalica ogni maggioranza e
mandato elettorale ed è fondamento di ogni legalità e democrazia,
e in questo io ho già abbondantemente fallito.
Tre: quando manca l’equilibrio mentale e tricologico
necessario.
Riguardo al primo problema, con l’immunità parlamentare
cancelleremo ogni sospetto e persecuzione.
Il golpe delle toghe rosse non si ripeterà, certi tempi non torneranno.
Tutti si ricordano quando a Milano dovevi presentarti negli uffici con un
assegno in bocca per ottenere qualcosa.
Guardi la bocca di Previti e Dell’Utri e capirà quanto hanno dovuto
soffrire, tenga lei dodici libretti di assegni tra i denti. Riguardo alla
convivenza civile, chi se ne frega? Io non voglio convivere con una marmaglia
che non merita la cittadinanza italiana. Parlo dei giudici politicizzati, dei
comunisti, dei giornalisti diffamatori, delle massaie coopdipendenti, di quelli
che leggono l’Economist, dei sostenitori papalini, dei pacifisti con le
bandiere insanguinate, dei sindacalisti brigatisti, degli sterili e
numericamente esigui milioni di manifestanti. La società civile è
troppo complicata, un’azienda che funziona non può avere troppi
azionisti. Alla società civile io preferisco la società segreta.
Se fosse per me, la Statua della libertà dovrebbe avere il cappuccio.
L’ho detto a Bush e lui mi ha risposto sottovoce che era d’accordo,
ma non si può fare per ragioni estetiche. Comunque per me la convivenza
civile si riassume in una frase: tu compri, io vendo e tutto va bene.
Basta con le ingiurie. Non sono aggressivo né vittimista né
isterico né megalomane né intollerante né vendicativo
né paranoico, ogni giorno passo ore al telefono minacciando oppure
lamentandomi con tutti, e mordo le unghie di mio fratello pensando che uno
statista di valore mondiale come me deve lottare contro le fastidiose opinioni
altrui, ma la pagheranno cara perché c’è un regime contro di
me e so benissimo che Prodi è esperto di voodoo, ogni notte resuscita le
mortadelle. Pur perseguitato mantengo uno stile invidiabile e un sano rispetto
delle istituzioni. Se poi qualche miserabile ignorante giornalista inglese o
qualche giudice che si ispira a una costituzione sovietica aizzato da una
magistratura giacobina e da una stampa molotovista mi attacca io
democraticamente rispondo. Tre anni di galera a chi scrive il contrario. Non ho
niente contro i pacifisti, ma se mi fanno calare nei sondaggi e sfilano contro
il mio amico Bush, si ricordino cos’è successo a Genova, e sappiano
che da oggi si può sparare ai manifestanti in via preventiva. E se
Ancelotti non sostituisce Costacurta con Serginho e io faccio zero a zero con
quel comunista fottuto di Moratti, non ho il diritto di entrare nello
spogliatoio e far casino, visto che è roba mia? E se qualcuno mi contesta
in tribunale e la Rai e Mediaset amplificano l’episodio con le loro troupe
prezzolate, non ho diritto di incazzarmi, visto che è roba mia? Io
comunque mi inchino alla sovranità dell’informazione, e cioè
a Me.
Questa è la prima parte, direttore, ma adesso viene il bello. Io posso
fare tutto questo e anche di più perché mi sono dimesso. Ho fatto
quello che l’opposizione avrebbe dovuto fare da tempo: ho chiesto le mie
dimissioni e le ho accettate. Non sono più il premier degli italiani, ma
un tirannello bugiardo, astioso e inferocito che se ne frega di democrazia,
costituzione e regole. Non sono ciò per cui si è votato, ho
inventato un nuovo ruolo politico, il neuropremier. Tutti lo sanno e abbozzano,
da Ciampi a Fassino. Ho dovuto dimettermi perché la mia incapacità
di governare è evidente, il conflitto tra i miei interessi e quelli del
paese è quotidiano, il rifiuto di rappresentare tutti è ribadito,
la mia incapacità alla democrazia è cronica ed esibita. Se dovessi
rispettare le regole della lealtà politica dovrei dire: sono proprio io
che ho diffamato il ruolo di presidente del consiglio e me ne devo andare, come
in ogni democrazia, senza vittimismi e ricatti.
Invece resto e faccio tutto quello che mi pare da dimissionario: è
più facile e comodo. E la sinistra istituzionale me lo permette. Avete
mai sentito da loro la parola «dimissioni»? Avete visto come sono
cauti su piazze e referendum? Da quanto non li sentite più parlare del
conflitto di interessi e della pidue? Fan finta di niente. Aspettano nuove
elezioni, un nuovo governo di destra o di sinistra, la possibilità di
qualche inciucio, la provvidenza, qualche posto di ministro, che ne so. E questo
mi rende ancora più furioso. Io, la bandiera dell’anticomunismo, mi
sono dovuto dimettere da solo, senza la gioia di essere sfidato
dall’opposizione. Dimettersi da se stessi è un atto disturbante e
mi ha reso nervoso. E sarò sempre più nervoso e vendicativo, e
manderò questo paese in malora, perché non sono riuscito non dico
a unirlo, ma neanche a governarlo: macché riforme e gran lavoro, ho perso
più tempo per salvare Cesarone e ingoiare la Rai e far regali a Bossi che
per occuparmi di scuole lavoro e ospedali, ho tradito lo spirito democratico di
ogni elezione, e allora tanto vale spaccare tutto, ma quale Milano capitale o
Roma capitale, il mio sogno è Genova, tutta l’Italia in mano al
battaglione Tuscania e ai reduci della Somalia.
Pubblichi la lettera, se non vuole che le mandi gli ispettori, e i miei non sono
quelli dell’Onu. Sostituisca Vauro con Maldini, venda le mie videocassette
invece di quelle musiche da extracomunitari, smetta di attaccarmi e si tagli
quella barba da talebano. E se lei sostiene ancora una volta che io voglio
spaccare il paese in due, si sbaglia, voglio spaccarlo almeno in quindici pezzi,
così quando li rivendo ci guadagno di più. E adesso mi scusi ma
devo andare a fare le sole due cose che mi danno ancora gioia: regalare orologi
a Bush e farmi nutellare la testa. Sono un grande statista, un grande stilista,
un grande allenatore, sono unto da Dio, sono il re degli affari, sono un gran
figo, sono il Bush del Mediterraneo e il Saddam della cristianità, sono
un uomo senza coda, sono una pagoda, sono il re dei vittimisti, sono
l’unico al mondo che vive in un paese con due regimi. Ma non sono
più il premier di tutti gli italiani, rappresento solo me stesso.
Distruggerò questo paese che non ha saputo amarmi al cento per cento.
Apparirò in televisione ogni giorno. Modificherò la costituzione
sovietica sostituendola con la mia biografia. Non chiamatemi più premier.
Chiamatemi Vendicatore Nero! Ceausescu, Bokassa, Amin Dada, Nixon, Peron, Leone,
Cossiga, e tu D’Alema, non finirò come voi, andrò fino in
fondo. Aaaargh! Adesso che mi sono sfogato sto meglio, ma sento che sta per
arrivare una nuova crisi. In televisione c’è Topo Gigio, sento che
mi sta diffamando. Pubblichi questa lettera senza cambiare una virgola, odio le
virgole, pendono tutte a sinistra. Aaaargh!
Scusi lo scatto, torno al mio solito inimitabile stile. Allego alla lettera un
regalo: un orologio d’oro a cucù. Farà un figurone nella sua
cella.
Cordiali saluti,
il neuropremier Silvio Berlusconi