Dopo il successo della Guida di New York (Panorama 941), abbiamo rintracciato anche una Guida…
L’etere non è alcolico
La tv, dice un’antica leggenda ucraina, è un servizio pubblico. Quindi ha il monopolio dell’etere. L’etere in questione non è quello alcolico, anche se molte trasmissioni tv sembrano pensate dentro un barile di grappa. Per spiegarci meglio, l’etere tv non è quello altrimenti detto «spirito»: per capirlo d’altronde basta guardare All’arca! all’arca! (è una battuta cretina, ma ho deciso di lottare ad armi pari).
La tv, insomma, è padrona dello spazio, come Usa e Urss. Radio e tv private dovranno per questo adeguarsi alla famosa riforma. Mentre infatti in terra tutto va splendidamente, nell’etere italiano il caos è totale. Le onde si accavallano e interferiscono. Gli aerei che atterrano nella nebbia si schiantano turbati da Amanda Lear. Le jeep della polizia girano impazzite tra un ordine del questore e un valzer di Casadei. Un Ufo con marziani, in ricognizione nella nostra atmosfera, ha captato Il sesso forte ed è tornato alla base scrivendo nel suo rapporto che sulla terra non si riscontrano forme di vita intelligente.
La riforma, insomma, era inevitabile. Ma chi ne uscirà forte, e chi con le ossa rotte? Distinguiamo nel mare delle radio libere due filoni principali. Uno è quello delle radio democratiche, fatte da giovani, in città e piccoli paesi, eccetera. Per la stampa sono spesso solo il covo di pericolosi brigatisti. Il Corriere, titolando il pezzo sulla «voce» della telefonata annunciante l’assassinio di Moro, dice «si pensa allo speaker di una radio libera», perché era senza inflessioni e molto calmo. Perché non sospettare Mike Bongiorno, allora? In queste radio, che conosciamo da vicino, ci sono certo molti difetti, chiusure e approssimazioni: secondo noi c’è però più dibattito, più verità e più impegno in una loro giornata di trasmissione, che in una giornata di tv nazionale.
C’è poi un altro filone di radio: le radio di evasione, o non-stop music, le emittenti che «non fanno politica», o ne fanno tanta senza avere il coraggio di smascherarsi. Di questo tipo sono il 90% delle tv private. Perché un gruppo di giovani può metter su una radio con tre-quattro milioni, non una tv che costa cinquanta volte tanto. La tv se la possono fare la Dc, che a Bologna ne fa tre o quattro (una per corrente, compresa la curia), i centri di potere economico, come la Cassa di Risparmio di Firenze che ne prende sei alla volta, i boss del ballo o gli industrialotti, che si fanno la tv come una volta si facevano lo yacht.
Queste tv e radio locali, oltre a riflettere le mire politiche e mercantili di questa gente, sono poco diverse dalla tv nazionale. Ne scimmiottano i programmi di successo, ne moltiplicano i miti. Sono come il vivaio giovanile della grande squadra. Il giovane si fa le ossa nella squadra di provincia, poi, quando è abbastanza cretino, debutta in serie A. Si fanno già i concorsi con migliaia di aspiranti che da grandi vogliono fare i Pippo Baudo.
Di questo fenomeno nuovo delle radio libere, che aspetti hanno interessato la tv nazionale? Anzitutto la «diretta», subito filtrata e addomesticata. Poi la coreografia musicale e il ritmo dei disc-jockey da discoteca: ritmi soul, cantautori punk macrobiotici e alternativi, presentatori saltellanti, raffiche di okay. Dalla coppia di Piccolo slam al Boncompagni, dal disc-jockey di dio Enzo Tortora a questo Eros Macchi il cui brio ben si adatterebbe a un Capodanno in un ospizio. Questo è il folclore moderno-giovanilista che piace tanto alla pubblicità della Coca-Cola e alla tv. Ogni tentativo di abbassare un po’ la musica e ascoltare la realtà è stato, con qualche eccezione per lo più radiofonica, un disastro. Si son viste trasmissioni sinistresi in cui c’era di tutto: oltre ai soliti cantautori punk, yanko, zen e rock, finti fricchettoni, finte interviste e finte manifestazioni col giovane attore che dice stupito: «Oh cielo, sta arrivando la polizia!».
Allora, visto che la gioventù italiana è già ampiamente servita di idee sane da tv, stampa, mercato discografico, radio non-stop e tv locali, ci sembra molto importante che almeno le radio che hanno una visione diversa del mondo debbano sopravvivere. Quando la riforma entrerà in funzione, invece, temiamo che resteranno a galla soprattutto i pescecani locali, i boss delle sale da ballo, le correnti dc, i megaeditori e magari, a sinistra, chi si è legato stretto stretto a un partitone. La lotta già infuria: ne vedremo delle belle, lassù nell’etere.