laRepubblica 4 aprile 2020 Ogni solitudine contiene Tutte le solitudini passate Il signor Eremio viveva…
L’uomo che non riusciva a comprare italiano
Il signor Tarquinio si presentò alla cassa del supermercato, col carrello pieno e la faccia scura. Lo accolse la cassiera Zaira, che aveva un debole per gli anziani coi capelli tinti, e lo salutò col sorriso più invitante.
—Che bella spesa ha fatto, signor Tarquinio. Ma che espressione sconsolata! Le è successo qualcosa?
—Signora Zaira, è un disastro — brontolò Tarquinio — Io non sono certo un patriottardo, ma amo il mio paese. Come posso assistere allo scempio delle privatizzazioni, alla svendita del nostro patrimonio all’estero? Cosa resterà dell’Italia? Si figuri che ora venderanno le poste. Magari ai cinesi. Già le file sono interminabili, se lo immagina, un povero pensionato nostrano in coda con centomila cinesi?
—Non andrà così signor Tarquinio. Mica venderanno tutto …
— Speriamo. Io comunque difenderò il made in Italy costi quel che costi. Non passa lo straniero ….
E un sorriso gli illuminò la dentiera.
Signor Tarquinio, io la capisco — disse Zaira — ma vede, gli stranieri già sono passati. Non vorrei guastarle la spesa. Ma…. vede, lei ha preso della cioccolata Pernigotti e la Pernigotti è appena stata comprata dai turchi. Dal re delle nocciole Toksoz. Dice la leggenda che una volta il proprietario incontrò uno scoiattolo magico…
—Non comprerò mai questa cioccolata — esclamò iroso Tarquinio — la cambio subito coi baci Perugina.
—Ahimè — disse sospirando Zaira — anche la Perugina non è più tricolore, è della multinazionale con sede svizzera Nestlè. Come la pastina in brodo Buitoni che lei ha appena acquistato. E anche il suo yogurt al mirtillo Parmalat, mi spiace deluderla, è della francese Lactalis.
—Via, via allora — disse Tarquinio, buttando in malo modo i prodotti in un carrello vuoto — che orrore! Cercherò conforto sbronzandomi con questa deliziosa birra. Oppure, mi faccio una bottiglia di spumante, o un bel rosso.
—La sua Peroni però è di proprietà dei sudafricani. E lei ha preso una bottiglia di Gancia che è dei russi. E quel Chianti viene da un vigneto che è proprietà di Hong Kong.
—Che sconforto! Va bene, mi farò una italica, classica pasta al pomodoro.
— Non vorrei darle un altro dispiacere — disse Zaira scuotendo dolcemente la testa — ma lei ha nel carrello la Delverde che è diventata argentina, e quei pelati Aerre sono stati comprati dalla Mitsubishi. Loro, insieme alla Kawasaki, stanno cercando di creare un airbag al sapore di ragù.
—Mitsubishi, puah, preferisco le gloriose moto italiane — affermò Tarquinio — La nostra Ducati, la Benelli.
—La Ducati è tedesca la Benelli è dei cinesi — sospirò Zaira, pescando nel carrello — ma tornando a noi se vuole le passo il riso Scotti ma per una parte è spagnolo, e non posso tagliare la confezione in due. Per non parlare della bresaola brasiliana e del gelato Algida che è anglo-olandese.
—Ma insomma lei vuole dirmi che non c’è quasi più niente da vendere, perché è già tutto venduto? Tutto è perduto? Digiunerò? O posso ancora cucinare?
—Dipende — disse Zaira — a meno che non abbia una cucina Rex, Zoppas o Zanussi o Molteni che sono degli svedesi. Vuole il nuovo modello di pollo Ikea? Invece che intero, glie lo diamo da montare.
Il signor Tarquinio si mise a piangere senza ritegno. Alle sue spalle si era creata una lunga fila scalpitante. “Sbrigatevi!” urlò un omaccio con occhiali neri.
—Zitto, esterofilo, non capisce il dramma? Non possediamo più niente! Noi siamo un grande popolo, un recente studio ci mette al sedicesimo posto dell’intelligenza mondiale, saremmo quinti se non ci fosse in media Briatore. Cosa ci rimane da sperare? Forse solo il made in Italy, le firme…
Una signora bionda alquanto rifatta intervenne scandendo con sadica enfasi:
— Bulgari, Fendi, Brioni, Pomellato, Loro Piana, Pucci e Gucci sono dei francesi, Ferrè di Dubai, Fiorucci dei giapponesi.
—E poi mi dica, lei che squadra tiene? — disse un ragazzetto con aria sfottente e una sciarpa rossonera.
—L’Inter lo so, l’ha comprata un indonesiano, cazzo — sbottò Tarquinio — ridete, ridete, vedrete come andrà a finire.
—Lasciatelo stare — disse Zaira.
—Zaira — disse Tarquinio inginocchiandosi — Solo tu mi capisci. Andiamo via insieme, scappiamo in qualche bel luogo della nostra penisola. A Rimini, o sui colli toscani.
—Gli alberghi adriatici li stanno comprando i russi e i cinesi stanno rastrellando il centro Italia — disse tristemente Zaira.
—A Roma, allora!
—Metà Roma è del Vaticano e metà è della signora Armellini — ghignò la bionda — e tutti e due non pagano l’Imu, alla faccia sua.
—Allora andiamo… a Venezia — disse Tarquinio — la romantica Serenissima.
—Legga qua stamattina sul giornale — disse l’omaccio con gli occhiali neri — “VVV vendesi blocco residenziale antico e lussuoso, in riva al mare, anzi spesso sotto il mare, comprensivo di laguna, monumenti, casinò e vari appartamenti divisi da comodi canali e piazzette, necessarie piccole ristrutturazioni. Solo acquirenti stranieri”.
—Ma vaffanculo — urlò il signor Tarquinio — il culo è ancora nostro, o no?
—Dipende — disse la signora — se lei indossa jeans Valentino, è anche di uno sceicco del Qatar. —Va bene — esclamò fieramente Tarquinio — ma bisogna reagire. Ti prego Zaira. Vieni stasera a casa mia. Mangeremo a lume di candela perché la Edison è francese, consumeremo insalata del mio orto, noci di Sorrento e pasta bollita nell’acquedotto tiberino. Acconsenti?
—Yes — disse Zaira. Un breve applauso, inframezzato da inviti a togliersi dalla balle, sottolineò la felice conclusione della vicenda.
Il signor Tarquinio pagò quello che restava della spesa, un chilo di patate e dei malloreddus. Poi si allontanò lanciando un bacio alla cassiera.
—Mi scusi — disse timidamente la Zaira — ma non ha neanche il mio numero di telefono.
—È vero …
—Allora scriva. Tres tres siete, uno dos cinco ocho dos cinco nueve ocho. Sa la Tim à stata venduta agli…
—Ma porca troia! — urlò il signor Tarquinio.
—Le migliori le ha in gestione un’agenzia svizzera — precisò con serietà l’omaccio con gli occhiali.
Tarquinio non disse nulla. Uscì con grande dignità, asciugandosi le lacrime con un fazzolettino Tempo. Zaira non gli disse che il nome sembrava italiano ma la marca era tedesca, venduta agli svedesi e con sede a Cincinnati.