Dopo il successo della Guida di New York (Panorama 941), abbiamo rintracciato anche una Guida…
Notizie dall’Iran
«Buonasera. Qui la televisione nazionale iraniana. Apriamo il nostro notiziario di questa sera comunicandovi che sua maestà, il re dei re, orgoglio della razza ariana, generale supremo dell’esercito, ombra di Dio, padre del popolo, ha trascorso la giornata di oggi nella residenza imperiale del nord. Con lui era sua altezza reale l’erede al trono Reza, che ha trascorso la mattinata cavalcando nel parco della residenza reale… Intanto alla presenza della madre della consorte dello scià, signora Farida Diba, al Royal Hilton Hotel, è stato celebrato il decimo anniversario della associazione iraniana per la floricoltura… E passiamo ora alle altre notizie».
Così il giornale La resistenza dei popoli iraniani riporta testualmente l’inizio di un telegiornale nel paese dello scià, dove ci sono stati migliaia di morti con le armi e la benedizione di Carter. Meno male che siamo in Italia. Dove non abbiamo neanche il coraggio di fare una trasmissione in diretta sui diritti civili, come abbiamo proposto la settimana scorsa (e continueremo a proporla finché non vi esce dagli occhi).
Dove la nostra Tv, nei primi giorni della rivolta iraniana, ha informato in modo vergognoso, parlando di 58 morti mentre già tutti parlavano di centinaia e centinaia, e dove già, dopo una settimana, i commenti hanno il tono distaccato dell’ «è già successo tutto, che possiamo fare?». Noi non cominceremmo mai un telegiornale con le parole «sua maestà», perché la nostra Tv, quello che accade al vertice, non interessa. Le sue troupe sono sempre in strada tra la gente, nelle fabbriche, che chiedono a tutti pareri, fanno inchieste, promuovono critiche. Ah, benedetti i tempi in cui ti chiedevano solo di fare la giuria o di scambiare i fustini!
«Nei telegiornali», scrive una lettrice, «per parlare bisogna essere di sesso maschile e avere più di quarant’anni». Via, via, non se la prenda. Ha visto i due Tg del 13 settembre? Largo al popolo! Il Tg2 apre con un’intervista a Donat-Cattin; il Tg1 con un’intervista a Pedini. Donat-Cattin spiega il piano Pandolfi; Pedini i nuovi esami. Tutti e due hanno il tono annoiato di chi fa lezione a una classe di cretini. I due intervistatori dicono «signor ministro» con un tono così sussiegoso che ci si aspetta che aggiungano «posso uscire un momento a fare la pipì?». Poi c’è un doppio papa-show, illustrato sul Tg2 da padre Ugo D’Alessio e sul Tg1 da don Roberto Grimaldi. Ci fanno vedere un’entrata in sala, con sigla d’organo e gioco di luci, da far impallidire la Carrà.
Il numero di questa settimana è la recita di poesie di Trilussa. Nelle prossime udienze sono previsti nell’ordine: giochi di prestigio, un recital di canzoni di Gianni Morandi, un duetto comico con Gianni Agus che fa il diavolo e, censura permettendo, un castigatissimo strip.
Ed ecco i problemi operai. Annunciata dalle fatidiche parole «sull’Avanti di domani», piomba sullo schermo la foto di Craxi, detto anche «vieni avanti Bettino», per la sua ormai quotidiana abitudine di invadere tutto lo schermo, tanto che molti lo scambiano per il monoscopio e chiudono il televisore.
Il telecronista spiega per filo e per segno la quarta modificazione ideologica del craxismo; abbiamo poi la risposta di La Malfa, la risposta alla risposta e, per finire, per la serie «otto non bastano», il capolavoro: Luigi Preti che dice: «Il Pci non è pronto per il governo, perché si deve ancora socialdemocratizzare come il mio partito».
C’è anche un servizio incolore sul festival dell’Unità di Genova, con Pavolini che dice tre frasi di rito, una panoramica sui cartelloni e Milva che canta. Anche qui nessun militante di base che possa dire se è d’accordo con una politica festivaliera per la quale è più grave la defezione di Claudio Villa che quella della Rossanda. Ma consoliamoci. Mica siamo in Iran.
In Iran c’è uno show che si chiama Agha marbute, che è il più reclamizzato dal Tamasha (Radiocorriere) e va in onda nella fascia di maggior ascolto. In esso si fa finta di fare critiche, si dà la colpa di tutto al carattere degli iraniani e alla burocrazia, si snocciolano scenette stupide, si fa gran spreco di costumi, grandi scenografie e cantanti. Ci sono anche due presentatori che in lingua persiana si chiamano l’«imbe» e il «zel». Come vedete, tutto diverso da Milleluci o da Che sera. Ma come fanno gli iraniani a sopportare una televisione così e star zitti?