Era una bella giornata di primavera. Il nevischio mummificava le rondini e raffiche ai duecento…
Omissis e dimissis
Aspettando con sereno scetticismo gli omissis e magari i dimissis, questa
settimana non ci occuperemo di Gladio. Cossiga, Andreotti e Forlani si sono
parlati addosso con tanta scomposta abbondanza che sarebbe un peccato aggiungere
anche una sola nota a questa sinfonia di Regime. Nelle prossime settimane
promettiamo un’autentica chicca in anteprima: il discorso natalizio che
Cossiga terrà agli abitanti di Gladonia (ex Italia). Oggi, però,
ci occuperemo del problema più pressante per la nostra democrazia, e
cioè il miserevole stato del campo di San Siro. Ad alcuni esperti abbiamo
chiesto un parere su come salvare questo patrimonio, che non appartiene solo a
Baresi o Zenga, ma all’Italia intera.
Bruno Vespa
Sia chiaro che se qualcuno vuole approfittare del caso San Siro per impiantare
un processo alla Dc, si sbaglia. Da quarant’anni la DC difende
l’erba italiana. Ho visto personalmente l’onorevole Andreotti
rimettere a posto con le sue mani uno zollone di terra, nei pressi di una
chiesa. Il fatto che nello stesso punto, giorni fa, sia stato trovato un
deposito Gladio, non dimostra un collegamento tra le due cose, e se
c’è un collegamento, lo interrompe subito.
Francesco Alberoni
L’erba comincia sottoterra e finisce sopra. Se noi giocassimo a calcio
sottoterra, non danneggeremmo l’erba sopra. Ma poiché giochiamo
sopra, la danneggiamo. Basterebbe che invece di esibirci davanti a 50 mila
spettatori, coltivassimo le nostre piccole virtù sotterranee. Un
campionato pudico e ipogeo, nascosto al pubblico, con risultati segreti, ecco
ciò che ci vorrebbe. Ma la modernità ci impone di apparire, di
stare dalla parte dell’erba e non della radice. Perciò dobbiamo
giocare, esibirci ossessivamente e inutilmente scrivere. Ma se è vero che
l’inconscio è il tartufo dell’anima… (seguono altre 45
pagine).
Renato Altissimo
Ero a cena con alcuni esponenti comunisti quando sentii parlare di un complotto
contro San Siro. Udii le frasi «faremo tabula rasa» e «a
quelli lì gli spacchiamo le gambe». Sentii anche il sindaco Novelli
parlare in albanese con un cubano, per trattare l’acquisto di
centoventimila talpe. Io credo che se scaviamo sotto San Siro le troveremo,
belle grasse. Sentii anche questa frase: «E dopo San Siro, la Pianura
Padana e poi il Quirinale».
Non so se ho sentito bene, però riferisco in quanto è
l’unico modo perché qualcuno parli ancora di me.
Rita Levi Montalcini
Esiste (io credo) una predisposizione genetica delle superfici sferoludotrofiche
(campi da calcio) a depauperarsi del patrimonio pilifero (perdere l’erba)
sotto l’effetto di sollecitazioni meccaniche ambulocalcitranti (pedate).
In una delle mie rare apparizioni televisive ebbi a citare i risultati di un mio
esperimento: su una zolla (tre metri per tre) di erba sansirica feci camminare
dapprima sei topi e poi sei mucche. I topi, pur agitandosi molto, non
danneggiarono la zolla. Le mucche, pur muovendosi meno, la rovinarono
riempiendola anche di agglomerati di un materiale biochimicamente misterioso.
Studiando i cromosomi delle mucche, scoprimmo che contenevano un fattore X2
(fattore di trasferta) assai dissimile dal fattore IX dei topi. E’ questo
cromosoma che (secondo me) danneggia l’erba di San Siro. Basterebbe fare
l’analisi del sangue ai giocatori, escludere quelli con il fattore X2, e
il campo migliorerebbe.
Adelio Masotti
(contadino, foraggiologo)
Io credo che se sopra l’erba ci metto un telo e poi mi sdraio sopra con
mia moglie Amedea e poi ci diamo giù a sbattipanza come dei matti, con
rispetto parlando quando ci alziamo l’erba è rovinata, e in
più, le nostre zolle non le compra neanche nessuno.
Gufo Cordero di Montezemolo
Si è tanto parlato di un problema ridicolo come il disboscamento
dell’Amazzonia. Ma in Amazzonia non si gioca a calcio, e allora a cosa
serve il verde? La mia proposta è questa: chiudiamo gli stadi del
mondiale e facciamone dei nuovi. Date diecimila miliardi a me e Matarrese e in
due mesi rifacciamo tutto. Intanto si potrebbe giocare su superfici sintetiche,
come il tartan o Sandra Milo. Oppure giocare al coperto al Palatrussardi di
Milano con moquette firmata che poi venderemo al taglio. Gli stadi vecchi
potrebbero essere usati così:
a) li vendiamo interi agli americani;
b) li usiamo per un grande progetto culturale, tipo un “Processo del
lunedì” diretto da Ronconi;
c) li usiamo per chiuderci dentro i comunisti, specie i metalmeccanici. E’
un sogno che va prendendo sempre più piede nel paese di Gladonia.
Perché, allora, vergognarsi a dirlo?