Dopo il successo della Guida di New York (Panorama 941), abbiamo rintracciato anche una Guida…
Ortis, il papa e Videla
Nel corso della passata settimana televisiva abbiamo assistito a due grandi imprese sportive che hanno dato lustro all’Italia. Venanzio Ortis si è imposto a sorpresa sui 5.000 metri nel tempo di 13’28"5 vincendo gli europei d’atletica, e Albino Luciani è arrivato a sorpresa Giovanni Paolo Primo e ha percorso a piedi tutta la cerimonia dell’incoronazione nel tempo di 26 minuti 42"6.
Le analogie tra le due imprese sono molteplici. Anzitutto i due campioni sono Veneti, di quella razza tenace che resiste allo sforzo, ai terremoti, e ai Bisaglia. Ambedue hanno battuto a sorpresa campioni più qualificati quali Baggio, Vainio, Willebrands, Foster, Manede, Villot, Pignedoli e Antipov. Sono tutti e due di fibra robusta: Ortis è arrivato fresco come una rosa e il papa non ha smesso di ridere un momento. Infine, come era ovvio, tutti e due hanno sollevato un’ondata di entusiasmo senza pari.
Nel caso di Ortis si sa, ogni vittoria sportiva, di questi tempi, è buona per fanfare. Anche uno sport come l’atletica, tra i più puliti e dignitosi, ne è uscito intrombonato. Ma è per Giovanni Paolo Primo che la televisione del compromesso storico è letteralmente impazzita. Non si ricordava un’ondata così grande di entusiasmo per un personaggio televisivo dai tempi del Picchio Cannocchiale e di Topo Gigio.
Nelle gare di atletica Paolo Rosi perde la testa, ingoia il microfono e urla come se dovesse avvertire gli atleti che subito dopo l’arrivo c’è una voragine per lavori in corso. Ma per papa Giampaolo i telecronisti sono andati addirittura in estasi: voci frementi e ispirate, poesie, citazioni latine, e, ogni tanto, ammirato stupore perché il papa cammina a piedi, è alla buona, e parla veneto (ai veneti talvolta succede). Se il papa si mettesse le dita nel naso urlerebbero «fantastico», e qualcuno piangerebbe.
Il Tg 2, in questo, ha poco da invidiare al Tg 1. E il tutto fra un’indigestione di benedizioni, un catechismo a ventun pollici, una papata senza fine. Giampaolo, che sa d’esser piaciuto, è scatenato. È già uno showman: ride come Bramieri e si muove come il Mago Zurlì. Alla prima udienza, davanti a 10 mila persone, chiama il chierichetto e fa il numero a botta e risposta come la Carrà con Provolino. Racconta barzellette, dice «bigi» invece di grigi, e viene giù la platea. «Sarà anche simpatico, di simpatia un po’ melensa e dorotea», ci scrive un lettore, «ma questo indecoroso bombardamento televisivo lo sta facendo uscire dagli occhi a più di un cattolico».
Noi facciamo il pezzo sette giorni prima che esca il giornale: non possiamo prevedere niente del futuro, anche se abbiamo come una sorta di presagio che Lippi e De Crescenzo diranno qualche cretinata. Non sappiamo se continuerà la papata. Diciamo solo che abbiamo paura che ci abbiano preso gusto, perché questo papa è l’ideale per soddisfare tutti i canoni dell’intrattenimento televisivo. Potrebbe presentare Portobello, piazzare fustini, presentare Lo zecchino d’oro e fare l’ospite d’onore in uno Studio uno anni 60. Aiuto!
In tutto questo show a uso democristiano c’è stato un momento molto intenso, folgorante, di riflessione, quando al Tg 2 il giorno prima dell’ incoronazione si è presentata la madre del giovane fatto «scomparire» da Videla. Abbiamo visto le reazioni della gente, durante e dopo la trasmissione. Erano di rabbia, di indignazione, di voglia di saperne di più e fare qualcosa. Poi tutto è stato ingoiato dalle celebrazioni.
Noi però facciamo una proposta. Perché non si fa in televisione, una volta alla settimana, un’ ora dedicata ai diritti civili nel mondo, in cui possano parlare le vittime delle dittature sudamericane come i dissidenti russi, gli studenti iraniani, i sudafricani. In cui si faccia vedere non una, ma dieci volte, cosa hanno fatto e fanno Videla, lo Scià e tutti gli altri assassini che non si sognano neanche di rispondere agli appelli disperati di centinaia di persone. E magari, facciamo parlare anche i genitori dei detenuti italiani, che possano raccontare cosa succede, non solo all’Asinara, ma a Rebibbia, Fossombrone, carceri militari di Gaeta e in tante altre.
Si dice: l’Italia non è l’Argentina. Certo: e allora perché aver paura di una trasmissione come questa? Vogliamo solo riempirci le orecchie col papa che parla di rispetto dei diritti umani, o fare qualcosa davvero? O aspettiamo ancora che arrivi un esule argentino a Bontà loro, o che Videla telefoni a Portobello?