“Ho venduto a diecimila euro le mie vecchie catene da neve, quindi parteciperò alla sottoscrizione”
Punti di partenza
Cara Rossana e cari compagni, avrei preferito aspettare un po’ per
questo intervento, credo più ai tempi lunghi della scrittura che
a quelli affannosi della videochiacchiera, ma le molte
sollecitazioni non mi permettono di riflettere ulteriormente, e
forse ragionare «a caldo» può far perdere in precisione ma
guadagnare in passione.
Qualche compagno mi guarda stupito perché sono incazzato ma non
depresso, e mi dichiaro pieno di idee e iniziative. Inebriamento
da opposizione? reazione isterica? incoscienza senile?
Intendiamoci, non sottovaluto cos’è accaduto, ma vorrei spiegare
perché, insieme al male della ferita, sento la naturalezza e la
libertà di guarire.
Dico subito che comprendo le polemiche, e trovo necessario e
fisiologico che volino parole grosse. Ritengo che Nanni Moretti
abbia tutte le ragioni di esprimere la sua rabbia, perché nel suo
impegno politico è stato coerente almeno quanto Bertinotti, in
questi anni difficili. Anni, non dimentichiamolo, durante i quali
la sinistruzia non ha certo creato un paradiso da cui ora siamo
scacciati.
Trovo misteriosa la critica che gli si muove di «parlare dal
festival di Cannes». Da dove dovrebbe parlare, da un comitato
centrale? Unico dubbio che gli insinuo: forse guardando
«Sconfitta rossa» stavolta è entrato in ritardo e ha visto solo
gli ultimi dieci minuti del film.
In quanto a Bertinotti, sicuramente è ingiusto e cieco dare a lui
tutta la colpa di una sconfitta che non è maturata il tredici
maggio. In questi ultimi anni e anche prima, la sinistruzia ha
coltivato, tenuto in vita, ossigenato Berlusconi, senza mai avere
il coraggio di sfidarlo davvero. Un mese di campagna elettorale
in cui Berlusconi è stato descritto per quello che è veramente è,
non cancella anni di patteggiamenti, compromessi, omissis e
salvataggi in extremis.
A Bertinotti, amichevolmente, un solo appunto. Lasci per qualche
mese i salotti televisivi che ama e dove è tanto amato, e venga a
discutere delle sue scelte con la gente. Troverà qualche critica
in più, ma una situazione più vera, e anche vera solidarietà.
Alla centro-sinistruzia, cosa posso dire? Non sono un politico,
l’opposizione non mi spaventa e non confondo il perdentismo
masochista con la difesa di idee non maggioritarie. Trovo che la
giustizia di un’idea, non la sua vendibilità, sia il motore di
qualsiasi trasformazione. Ma dato che la sinistruzia delle grandi
strategie ha perso, dilapidando il voto di metà del paese, provo
a dare qualche modesto consiglio. Gli do del tu, perché ieri mi è
arrivato a casa, in ritardo, un depliant con scritto «tu,
elettore di sinistra» e ricambio.
Il primo: tu, dirigente di sinistra, non provare a riabilitare
Berlusconi per legittimare un’opposizione comoda. Hai già fatto
molto per lui, non esagerare.
Il secondo, ingeneroso ma non troppo: alcuni dirigenti dell’Ulivo
farebbero bene a tornarsene a casa, o in barca. Sarebbe
dignitoso. Ma forse chiedo troppo, in un paese dove Dell’Utri è
deputato e Agnelli indossa la livrea da chaffeur da un giorno
all’altro.
Il terzo. Mettetevi a dieta di televisione. La televisione è
depressa e depressiva, abbassa le speranze, i desideri, le
differenze fertili della società e affidare a lei il novanta per
cento della discussione politica significa perdere oggi e domani.
Il mio anticatodismo sarà forse un’ossessione, ma la vostra
dipendenza dal video è anche più patologica e dannosa. Credo non
sia un caso che la sinistruzia, talvolta la sinistra, abbia vinto
dove ci sono più luoghi di discussione comune, meno vippismo
teleromanista o milanocentrico. La Casa delle assoluzioni
(giuridiche e confessionali) ha un padrone, la sinistruzia ha una
decina di padroncini, e insieme occupano il novanta per cento
della cosiddetta infosfera. Adesso basta, carissima sinistruzia,
ritorna a discutere paese per paese e città per città e riduci il
consumo di dibattiti televisivi, da quaranta al giorno a tre dopo
i pasti. Siete intossicati di Vespa, uscite dal tunnel. E
smettetela anche coi consiglieri di immagine che vi mollano alla
prima sconfitta, e coi guru americani. Per evitare la figura che
avete fatto, non era necessario un look-maker Usa, bastava uno
psicologo Usl. Imparate dal cavaliere che ha vinto con pochissimi
mezzi: dieci chili di fard, qualche migliaio di miliardi di
promotion e la Zanicchi.
Quarta cosa: vogliamo ridiscutere della guerra e di Mani Pulite,
vogliamo discutere dell’ambiente e del terzo mondo, vogliamo
discutere della scuola, di aborto, di eutanasia. Organizzate in
ogni città, non per un solo giorno, ma per mesi, dei forum aperti
ai cittadini su questi temi. La gente verrà. Non radunate gli
elettori solo per i concertoni. Imparate dai centri sociali, che
sono molto più seri e politicamente complessi di voi.
Ai compagni che non si riconoscono nella sinistruzia: fate lo
stesso, organizzate nuovi luoghi di dibattito comune, di
incontro, di scontro. Sarebbe bello che nessuno dovesse più dire:
vorrei dividere il mio disagio, vorrei discutere e impegnarmi su
queste cose, ma non so dove e con chi. Prima di duellare col
nemico, e ce ne sarà l’occasione, bisogna ricominciare a essere
vicini e lavorare insieme, non basta più commentare insieme la
televisione e i giornali del giorno dopo. Se l’Italia diventerà
un’azienda, creiamo dei bei dopolavori e nuovi luoghi di
crumiraggio, resistenza, fratellanza. Ce ne sono, ma non
abbastanza. Se dentro questi luoghi si litigherà molto, tanto
meglio.
A me stesso, cosa posso dire? Anzitutto che non vedo perché
dovrei partecipare a una fustigazione collettiva. Ho la coscienza
abbastanza tranquilla come l’hanno migliaia di compagni. Il fatto
che questo non sia bastato, non mi toglie le ragioni passate, le
battaglie giuste che sento di aver fatto, le grida inascoltate
che si sono rivelate vere. Ma una coscienza quasi tranquilla, di
questi tempi, è un lusso che può creare una beata paralisi,
perciò mi regalerò dei consigli e delle autocritiche,
notoriamente più moderate delle critiche.
Primo: confesso che non sono mai andato ai raduni della
sinistruzia, ho fatto male, mi sarei rotto le palle ma avrei
potuto farmi ascoltare di più, è un peccato di pigrizia e
snobismo che cercherò di correggere. Ma intendiamoci, mi
interessano le riunioni serie e non le recite catodiche o i
buffet di rappresentanza.
Secondo: per amore di bandiera non ho mai spiegato fino in fondo
le insoddisfazioni e i disagi che mi hanno talvolta allontanato
dal manifesto. D’ora in avanti lo farò.
Terzo: ho criticato spesso gli artisti e gli intellettuali di
sinistra perché stavano zitti, perché mi sembravamo trasformati
in caricature di fiacchissimo impegno. Alcuni hanno continuato a
nascondersi sotto il divano, ma altri si sono schierati con
decisione. Continuo a ritenere mortale l’abuso di telepolitica e
non ritiro, ad esempio, le vecchie critiche a Benigni a Santoro,
ma proprio perché li ho criticati, ora aggiungo la mia sincera
solidarietà per quello che hanno fatto, e li difenderò a spada
tratta dalle vendette del nuovo Minculpop.
Quarto: non ho ancora imparato a mandare bene le e-mail.
Quinto: il due maggio ho consegnato a un amico un foglietto con
una previsione sulle votazioni del senato. Diceva: Casa delle
Assoluzioni quarantaquattro, Ulivo quarantuno, Rifondazione
quattro e mezzo. Se mi volete credere, bene, se no ciccia. Ma se
avete creduto all’Abacus, potreste credere anche a me. Quindi la
colpa è mia: se avessi telefonato a Bertinotti chiedendogli un’
ultima, disperata desistenza forse avrebbe ceduto e avremmo
pareggiato al novantesimo.
E poichè ho azzeccato la mia ennesima profezia e i guru vanno di
moda, mi spingo a un’altra previsione.
Berlusconi non passerà un anno e mezzo di legislatura, forse
meno. Intendiamoci, niente di violento, anzi, una volta finito il
Berlusconi due, vivrà felice a Saint Helene, un’isola delle
Cayman dove ha riprodotto Arcore pezzo per pezzo, compresa la
nebbia artificiale e lo smog. Starà sdraiato al sole, con Fede
coperto di miele che gli tiene lontano le vespe, Agnelli che lo
sventola e Bossi che sbraita chiedendo la separazione dalla zona
sud dell’isola. Ovvio che con questa profezia mi espongo a una
figuraccia, ma mi prendo tutta la responsabilità.
Ed ecco invece le cose che farò, senza firmare contratti e senza
giurare sugli innocenti. Tenterò di scrivere con cadenza
settimanale, su Repubblica e il manifesto.
Proseguiranno i seminari di Bologna insieme a Libero Mancuso e
tanti altri amici, ne terremo dieci tra questa fine anno e il
duemiladue, il gruppo Lupo continuerà a funzionare a pieno ritmo,
tra un mese circa troverete allegato al manifesto il
video di «Blues in sedici» a sostegno del giornale, girerò per le
librerie, i teatri, i vicoli e i centri sociali, imparerò a usare
bene Internet.
Ultima cosa, cercherò di essere riconoscente. Avere speranza nei
momenti difficili è forse il primo motore non solo di un’anima di
sinistra, ma di chiunque non consegni la sua vita a un padrone.
Io, tutti noi, dobbiamo la nostra libertà a persone che hanno
avuto speranza in momenti difficili. Ecco il momento per
esprimere la nostra riconoscenza a chi ci permette oggi di
iniziare una battaglia politica che non è persa in partenza e in
cui noi abbiamo ancora tutte, dico tutte le armi per mantenere la
democrazia in Italia.
Così, cara Rossana, ho scritto prima di avere le idee chiare, ma
con qualche idea chiarissima. Soprattutto una: in questo paese
non mi sento rassegnato, solo e straniero, e vorrei aiutare e
scuotere chi si sente in questo modo. Non mi arrendo: lo dico
senza sentirmi assediato, e senza bisogno di odiare il nemico, ma
desiderando un paese profondamente diverso da quello che ho
vissuto finora e da quello che sembra prepararsi. E questo paese,
lo sai bene, galleggia dentro un mondo ancora più sofferente e
minacciato di lui.
Tutto qui. La mia analisi forse è semplice, ma non nasce da
suggestioni televisive o dalle rassegne stampa. Nasce da quello
che ho visto e sentito intorno a me, in questi anni e in questi
giorni.
La storia giudicherà il cavaliere, ma giudicherà anche noi. Tra
settant’anni, quando ci ritroveremo a lanciare l’ennesima
colletta per il manifesto, non vorrei leggere che la
sinistra italiana finì la sua lunga marcia il tredici maggio
duemilauno. Credo che nel 2435, quando gli abitanti di Sirio
scenderanno sul nostro pianeta arrostito, tra Gramsci e
Buttiglione, troveranno tracce del primo.
Concludo, cara Rossana. Siamo ancora liberi, in un mondo dove due
terzi delle persone non possono permettersi i nostri sogni e i
nostri discorsi, e molti di noi dovrebbero rendersi conto di
essere fortunati e privilegiati. Che non vada persa nessuna
riflessione su questa dura, tristissima sconfitta, ma anche
nessuna goccia di durissima, appassionata resistenza. Lo dobbiamo
a chi si è battuto e si batte soffrendo più di noi, con meno
speranze e più pericoli. Ti abbraccio insieme a tutti i compagni
del giornale, ti aspetto al seminario e se vuoi un libro che
parli della tua vita da distribuire in ventisei milioni di copie
agli italiani, sono pronto a scriverlo.