“Ho venduto a diecimila euro le mie vecchie catene da neve, quindi parteciperò alla sottoscrizione”
Storie d’amore e di corteo
Cara Uga, di nuovo una grande manifestazione, e anche stavolta non so cosa accadrà
tra noi. Ora il film della nostra relazione si dipana fluttuando come una cometa radiosa
sullo sfondo stellato del passato (hai sempre detto che come poeta ti ricordo Baglioni,
non ho capito se è un complimento o no). E vedo il nostro amore, dorato giocattolo
nelle mani beffarde del destino, arrancare incerto e dubbioso, fatto più di
occasioni mancate e inspiegabili separazioni che di vicinanza.
Con questo non voglio insinuare che mi eviti, Uga, ma diciamo che una serie di circostanze
sfortunate si è da sempre frapposta tra i miei e i tuoi (spero) desideri.
Ci conoscemmo, ricordi, molti anni fa a un campeggio estivo alternativo.
Tu eri femminista-cannarola, io marxista-situazionista.
Ti vidi e subito mi invaghii, eravamo nudi e un po‘ scottati, tu sul fucsia,
io sull’indaco, e leggevamo lo stesso libro, l’“Ecologia della
Mente” di Bateson, tu sottolineavi quello che non capivi, io quello che capivo.
Ti proposi una cena a base di pesce, ma tu eri allora nella fase ramadan-pelagica,
vale a dire che non mangiavi nulla che vivesse sotto il livello del mare, con
l’eccezione dei granchi purchè catturati sul bagnasciuga.
Cercai di conquistarti suonando Brel, ma tu eri ideologicamente musical-beatnik
e ascoltavi soltanto cantautori con pantaloni scampanati.
Parlammo di pensiero sistemico, di orgasmo multiplo e di conflitto politico,
e tu mi dicesti che temevi la scalata finanziaria di un certo Berlusconi.
Berlusconi chi? risposi io, e tu, deliziosamente, sbuffasti.
L’anno dopo ti rividi a un festival di poesia contro la guerra, centomila persone
e dieci miliardi di zanzare nella stessa pineta.
Io ero diventato dylan-kerouacchiano e avevo grandi speranze di piacerti.
Ma quando ti vidi col poncho e gli zoccoli andini, capii.
Eri diventata guevarista-terzomondista.
Ascoltavi soltanto i poeti sudamericani e quando salì sul palco Ginsberg
ti tappasti le orecchie.
Provai a cantarti “El condor pasa” degli Inti Illimani,
ma la mia pronuncia spagnola era imprecisa e non mi ascoltasti,
anche perché ti baciavi a raffica con uno che più che dalle Ande
sembrava sceso dalla Val Brembana. Ricordo che gli parlavi di un certo Berlusconi.
Berlusconi chi? ti diceva lui.
Che rabbia, io invece mi ero preparato, sapevo benissimo che era uno
che aveva delle televisioni, un innocuo finanziere lombardo.
Alcuni anni dopo ci fu una grande manifestazione per le lotte operaie.
Avevo saputo che eri entrata in un collettivo operai-studenti e io ero lì
con un bidone-tamburo, nello spezzone di Potere Siderurgico.
Tu sfilavi cento metri più avanti, bellissima, con la tuta arancione
e il casco con la lucina.
Ma eri sotto lo striscione di Lotta Mineraria e mi guardasti con un certo disprezzo.
Mi spiegasti che io difendevo l’aristocrazia operaia, mentre per te erano importanti
solo le lotte del sottosuolo del Sulcis.
Eri con quattro ragazzi sardi che cantavano da tenores, tennero la stessa nota
per tutti e sedici i chilometri del corteo, io che mi ero preparato tutto
Guccini e Lolli mi misi da parte.
Sentii che urlavi al megafono “Berlusconi e la Pidue, ecco il nemico”.
Io pensai: questa è pazza, non capisce che i pericoli sono ben altri.
Pochi anni dopo ci fu la manifestazione contro la Pidue e le stragi.
Sapevo che avresti sfilato nello spezzone di corteo Diessino, che eri diventata moderata,
e anch’io per amore tuo avevo preso la tessera.
Ti vidi con i jeans e i capelli corti, ma ahimè, mi ero perso la tua ultima
sterzata politica. Eri insieme a quelli del Manifesto, parlavi con Parlato e
campettavi con Campetti, e mi guardasti severamente.
Nascosi gli spartiti di Venditti e la chitarra intarsiata col volto di Occhetto
e decisi di andare all’attacco.
Ti dissi, sei una massimalista, la Pidue è una tigre di carta, non sono
le logge segrete a far la politica, la democrazia italiana è salda,
e anche quella cecoslovacca, e il tuo Berlusconi, se scende in campo,
non prenderà neanche il cinque per cento di voti.
Fosti colpita dalla mia energia polemica, allora colsi l’attimo favorevole:
vieni a cena con me, ti dissi, sono diventato vegetariano cicorista-plutarchiano.
Sei proprio vetero, mi rispondesti ridendo, io mangio solo macrobiotico.
Poi ci fu la prima grande manifestazione per l’Ulivo.
Ti cercai per tutta la piazza, tra migliaia di persone, fin sotto il palco del concerto,
sapevo che simpatizzavi per Bertinotti e stavolta avevo tutto,
la tessera e anche il portaocchiali al collo e la pipa, anche se non mi piace,
e porcocane, non ti vedo con un cappotto brezneviano, proprio dietro a Cossutta?
Pazzo di amore e rabbia, ti rimprovero l’ulteriore scissione,
quindi ti comunico ufficialmente che anch’io mi sono convertito alla macrobiotica,
e ti invito a cena in un ristorante così integrale che gli stuzzicadenti
te li devi fare tu da un tronco.
Ma tu rifiuti spiegandomi, col solito angelico sorriso, che a forza di frequentare
festival dell’Unità sei diventata lardodipendente, mangi salsiccia
dalla mattina alla sera e cotechino quando sei a dieta.
Adesso che siamo al governo, grido, il tuo Berlusconi è sepolto per sempre,
e anche il tuo Proporzionale e il tuo Esenin (non sapevo più cosa dire).
Ed ecco il primo megaconcerto per il governo D’Alema.
Stavolta non puoi sfuggirmi. So che sei Dalemiana convinta.
Sono stato a scuola di vela, cucino come uno chef, ho fatto il cameriere al Rotary
per ascoltare le ragioni degli imprenditori. Fendo la calca della piazza e come mi appari?
Vestita di nero, con il piercing e i capelli viola e azzurri.
Sei diventata dark-damsiana e contesti D’Alema, con lievi educati fischi.
Ti affronto dicendo che D’Alema spazzerà via Berlusconi,
aprirà i dossier sulla Pidue e le stragi, redimerà la Confindustria
e promulgherà una legge durissima sul conflitto di interessi.
Aggiungo: se vieni a casa mia so cucinare i piatti poveri alla Vissani,
minestra di zampe di gallina al tartufo e ostriche vuote.
Ti sei imborghesito, mi rispondi, io mangio sushi da mesi.
E vedo il tuo nuovo fidanzato, un maoista-taoista giapponese fotografo di moda
che suona il koto con i piedi.
Ed eccoci qui, alla grande manifestazione di oggi a Roma.
Io sono autoconvocato girotondista, ho fatto più girotondi di Pippi Calzelunghe.
Mentre tu, lo so, sei una new-global e sei stata a Porto Alegre.
Ma stavolta non mi maschererò.
Entrerò nella piazza roteando come un derviscio, ti girosfilerò
intorno e intanto mangerò cioccolata, mangio solo quella ormai,
peso centosedici chili perchè finalmente ho capito che Berlusconi è
un avvelenatore della democrazia, c’ho messo del tempo ma l’ho capito,
anzi ho capito che più ascolti le ragioni degli imprenditori e meno
loro ascoltano le tue.
Ti chiederò scusa di tutto, ti verrò vicino e ti dirò:
perchè non mi vuoi? E se mi respingi ancora, farò
una di queste tre cose:
O mi suicido.
O mi iscrivo alla corrente di centro dei mastelliani di sinistra.
O da lontano ti saluterò , tra centinaia di migliaia di persone,
e ti dirò addio, questa è l’ultima volta,
mai più cercherò il tuo amato volto tra la folla e le bandiere,
mai più ritmerò i passi del corteo con quelli del mio cuore innamorato.
Ma tu sai già che non è vero.
Ti cercherò ti inseguirò ti desidererò ancora, Uga.
E se ti incontrerò ti chiederò di sciogliermi un assillo
che mi tormenta da tempo.
Io lo so perché sono qui alla manifestazione, sono qui per te Uga,
ma tutti questi altri, tanti e tantissimi, come mai continuano a riempire le piazze,
cosa credono, cosa sperano? Che tutti abbiano un Ugo o un’Uga da incontrare
in mezzo alla folla? O qualcosa d’altro?
Cosa li fa resistere, se ogni volta che la società sfida davvero
la miseria della politica, ritorna la malattia oscura del nostro paese.
Quel buco nero che ingoia lealtà e civilità politica,
quel buio che la destra intorbida, ma anche la sinistra al governo,
non ha saputo e voluto illuminare.
E da questa oscurità riemergono i burocrati del ricatto,
in versione new economy con nuovi sponsor e nuovi cappucci.
Eppure moltissimi anche oggi non si rassegnano, non si piegano, continuano a sperare.
Che cos’è questo sortilegio?
Un’energia, una passione, un’illusione, una maledizione?
Che tipo di amore è, Uga?